Astronauti e robot spaziali potrebbero infettare la Terra con forme di vita aliene oppure, una volta approdati su pianeti remoti, diffondervi microbi e virus alloctoni, esattamente come accadde con i conquistadores nelle Americhe.
Nel 2001, gli appassionati lettori horror di tutto il mondo sgomitavano nelle librerie per accaparrarsi l’ultima copia dell’Acchiappasogni di Stephen King. Nel romanzo, un macro-virus alieno arrivato sulla Terra, il terribile “fungo di Ripley”, infettava chiunque vi entrasse in contatto, diffondendo così una spaventosa epidemia.
Frutto del genio di King, l’idea di una contaminazione aliena è in realtà tutt’altro che fantasiosa: condivisa dalla NASA e dai governi di tutto il mondo, la preoccupazione è che satelliti, astronauti o robot spaziali possano in qualche modo infettare la Terra con vita extraterrestre. Oppure potremmo essere noi, novelli conquistadores spaziali, a inquinare biologicamente altri pianeti.
Oggi, con l’avvento della pandemia da COVID-19, il timore è tornato in primo piano, come rileva Scott Hubbard, professore di aeronautica e astronautica alla Stanford University.
Hubbard in questo articolo parla della contaminazione aliena e, più in generale, della protezione planetaria, dilemma già posto da Elon Musk al tempo del lancio della Tesla Roadster nonché questione ampiamente discussa a causa della missione Mars Sample Return della NASA.
Proteggersi dalla contaminazione aliena, e tutelare altri pianeti da eventuali microbi terrestri, ancor più “nell’era COVID” conclude il professore della Stanford University, “dovrebbero essere priorità delle agenzie spaziali“.
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