βασιλίσκος “piccolo re”
Che abbia aspetto di serpente coronato o quello chimerico mezzo rettile mezzo uccello, che si sia originato dal sangue di Medusa, da un uovo di gallo oppure di un Ibis, il Basilisco è in tutte le descrizioni che ne vengono fatte una creatura nobile ed altera (da qui, forse, il largo uso della sua immagine nell’araldica), ma allo stesso tempo anche foriera di morte, malattie e pestilenze…
Mitologia del Basilisco
In epoca classica, la descrizione fisica del Basilisco non si discosta da quella di un normale serpente velenoso se non per la macchia bianca a forma di corona sulla testa aguzza, evidente emblema della sua indiscussa superiorità sugli altri rettili striscianti. Tra le prime descrizioni della creatura si legge quella contenuta nel testo greco dei Theriaca di Nicandro di Colofone che, intorno al II secolo a. C., la presenta come un serpente di dimensioni ridotte, dalla testa appuntita e dal colore rosseggiante.
Partendo dai primi resoconti di Plinio e Lucano, che del Basilisco ne ricordavano l’azione malefica prolungata nel tempo, anche dopo la sua stessa morte, in epoca rinascimentale la creatura diviene responsabile di carestie e terribili malattie.
Ce ne viene fornito un esempio da Cesare Ripa che, nella sua Inconologia, raffigura la “Contagione” come una “donna giovane estenuata et pallida” intenta ad accarezzare con la mano sinistra un Basilisco “in atto fiero et sguardo atroce”, mentre al suo fianco un giovane muore consumato dalle molteplici malattie contagiose: “una specie de serpenti de’ quali non solo il fiato, ma il guardo et il fischo sono contagiosi – scrive Ripa – tanto che li animali che sono morti per la loro contagione non vogliono essere tocchi da altri animali ancor che voracissimi, e se sforzati dalla fame li tocca, subito morono anche loro”.
Genesi del Basilisco
Dall’aspetto di serpente, il Basilisco è, a prescindere dai particolari con cui viene descritto o raffigurato, estremamente velenoso, nonché in grado di pietrificare (o incenerire) con un solo sguardo. Non è dunque un caso che la genesi della creatura venga, in epoca Classica, ricondotta a Medusa e al mito di Perseo: uccisa la Gorgone, l’eroe greco ne trasportò in volo la testa mozzata e, dalle code di serpente, grondarono sul deserto libico gocce di sangue velenoso, da cui si sarebbero poi originate altre terribili creature, tra cui, peggiore di tutte, il Basilisco: “Quella terra sterile e i campi infecondi – scrive Lucano raccontando il mito – s’imbevono del veleno che stilla dal putrescente capo di Medusa e la triste rugiada del fiero sangue vien fermentata dalle aride zolle di sabbia che riscaldano con il loro calore”.
Diversa ne è invece la genesi se si considera l’aspetto chimerico di uccello – serpente assunta dal Basilisco in epoca medievale.
Nel De Incarnatione Christi, in accordo con l’origine africana del re delle serpi (teoria unanimemente confermata da tutte le fonti classiche e, in parte, anche dallo stesso mito di Perseo), S. Giovanni Cassiano, decreta, con assoluta certezza, l’Ibis come genitore del Basilisco, in quanto solito cibarsi di scorpioni e serpenti velenosi e, quindi, generatore di uova tossiche: “Ex ovis volucrum – scrive il Santo – quas in Aegypto ibis vocant, basiliscos serpentes gigni indubitabile est”.
Reso più “europeo”, l’esotico ibis africano diventa gallo negli scritti di Beda, monaco e Dottore della Chiesa, autore di numerosi testi storici, teologici e scientifici, secondo il quale, un uovo deposto da un vecchio gallo darebbe origine alla creatura se covato da un serpente velenoso nei giorni di canicola, caratterizzati dal caldo afoso foriero di acque malsane. “Basiliscus habet caudam ut coluber, residuum vero corporis ut gallus”, aggiunse Vincent de Beauvais nel XIII secolo, contribuendo a fornire l’immagine della creatura mezzo rettile e mezzo uccello, nata da un uovo di gallo incubato da un rospo.
Difendersi dal Basilisco
Poichè Madre Natura in epoca classica o la Divina Provvidenza in ambito cristiano mai nulla hanno creato senza creare, allo stesso modo, il corrispettivo rimedio, il temibile, altero e tossico Basilisco può comunque essere sconfitto. Plinio, che ancora una volta si dimostra tra le fonti più autorevoli e generose, individua nella donnola e nel suo pestilenziale odore l’arma vincente che l’uomo può utilizzare per snidare ed uccidere il Basilisco, le cui tane sono tra l’altro facilissime da individuare poiché totalmente prive di vegetazione a causa dall’azione distruttrice del veleno. “Atque huic tali monstro – scrive lo storico – mustellarum virus exitio est: adeo naturae nihil placuit esse sine pare. Inferciunt has cavernis facile cognitis soli tabe, necant illae simul odore moriunturque et naturae pugna conficitur”.
Curiosa la nota aggiunta nel 1300 dall’astrologo Francesco Stabili che, nella sua Acerba, ricorda l’utilità dell’erba ruta che, se mangiata prima dello scontro, consente alla donnola di contrastare l’effetto malefico del veleno: “La donola, trovando della ruta, combatte con costui e sì l’accide chè ‘l tosco con costei si atuta”.
Il Basilisco in biologia
In biologia, il Basilisco – noto anche come Basilisco verde o Basilisco crestato – è una specie di lucertola facente parte della famiglia Corytophanidae nativa dell’America centrale. È un onnivoro e si nutre di insetti, piccoli mammiferi, specie più piccole di lucertole, frutti e fiori.
La specie più grande, con una lunghezza dal muso alla base delle coda di circa 25 centimetri, è il Basilisco piumato (Basiliscus plumifrons), in Costa Rica, Nicaragua ed Honduras soprannominata “lucertola Gesù Cristo” per via della sua capacità di correre sulla superficie dell’acqua senza affondare grazie alla speciale conformazione delle zampe posteriori che intrappolano piccole bolle d’aria sotto il palmo e le dita. In ogni caso, è anche un ottimo nuotatore, capace di rimanere sott’acqua anche per un’ora intera…
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